"NON FARE AGLI ALTRI CIO'CHE NON VUOI SIA FATTO A TE". (quod tibi fieri non vis, alteri ne feceris). Questa frase compendia tutta la morale cristiana. L'imperatore Alessandro Severo la fece scrivere nel suo palazzo e nei suoi uffici.





LA MUSICA PER ME E' TERAPEUTICA, E' UNA FORMA DI PREGHIERA CHE VA AL DI LA' DELLE PAROLE DEL TESTO. E' UN GRANDE AMORE, L'ASCOLTO SEMPRE ANCHE QUANDO DORMO. ALLORCHE' LE NOTE ARRIVANO AI MIEI ORECCHI L'ANIMA DANZA NELL'INFINITO CIELO DELL'ARMONIA E DELLA PACE.







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martedì 24 aprile 2018





"Li riconoscerete dalle loro opere"


Con Dio non ci è consentito di fingere. Con lui le maschere non funzionano; egli scruta i cuori e tutto vede nella verità. «Non c'è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce», dice il Signore. 

Anche le più subdole forme di ipocrisia, appaiono evidenti in tutta la loro malizia ai suoi occhi. Gli scribi e i farisei, quasi tutti i capi religiosi del tempo, con arroganza, si ritengono i depositari unici ed incontestabili della verità. 

Ignorano però l'essenziale, il compiere e praticare realmente la volontà di Dio. Le novità di Cristo risuonano perciò in loro come inquietanti eresie da combattere e lo stesso Signore persona scomoda e da eliminare. 

Il sommo sacerdote Càifa affermerà solennemente: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera».

È in questo contesto che leggiamo la parabola, pervasa di sottile ironia. Gesù induce così i suoi nemici dichiarati ad una inattesa autocondanna. 

Prende lo spunto dal comportamento radicalmente opposto dei due figli, rappresentanti di altrettante categorie di persone. Essi ricevono dal padre lo stesso mandato di andare a lavorare nella vigna. Il primo dichiara verbalmente la propria disponibilità, ma poi non esegue quanto promesso. Il secondo invece dichiara inizialmente di non avere voglia di eseguire quell'ordine, ma poi, pentito, esegue docilmente il comando ricevuto. Poi la domanda coinvolgente del Signore: «chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». 

La santità vera non è mai un dato acquisito definitivamente, non è un'etichetta che ciascuno può incollarsi alle spalle, richiede lo sforzo diuturno e la consapevolezza di essere sempre in cammino di conversione. 

È ricorrente, non solo ai tempi di Gesù, la tentazione di credere che la semplice appartenenza a determinate categorie privilegiate possa essere già una garanzia di santità. 

L'unico punto di riferimento per fare una giusta valutazione è nella risposta che siamo chiamati a dare al Signore se veramente siamo umili cercatori ed esecutori della sua santissima volontà. Può perciò accadere che i pubblici peccatori e persino le prostitute, che prendono coscienza del loro disagio morale e si muovono alla conversione sincera, possano precedere in cielo coloro che gratuitamente si ritengono giusti e santi.
(Matteo 21, 28-32)