"NON FARE AGLI ALTRI CIO'CHE NON VUOI SIA FATTO A TE". (quod tibi fieri non vis, alteri ne feceris). Questa frase compendia tutta la morale cristiana. L'imperatore Alessandro Severo la fece scrivere nel suo palazzo e nei suoi uffici.





LA MUSICA PER ME E' TERAPEUTICA, E' UNA FORMA DI PREGHIERA CHE VA AL DI LA' DELLE PAROLE DEL TESTO. E' UN GRANDE AMORE, L'ASCOLTO SEMPRE ANCHE QUANDO DORMO. ALLORCHE' LE NOTE ARRIVANO AI MIEI ORECCHI L'ANIMA DANZA NELL'INFINITO CIELO DELL'ARMONIA E DELLA PACE.







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lunedì 20 agosto 2018

LA VOCE DI DIO, RIFLESSIONE SUL LIBRO DI GIOBBE


Meditazione di
Don Luciano Vitton Mea

Tutto tace nel letamaio di Giobbe: le voci degli uomini cedono il passo al silenzio. 

Sono volate accuse pesanti, ora nei confronti di Dio, ora nei confronti di Giobbe; tutti hanno fatto le loro arringhe, discusso, cercato soluzioni o di trovare un perché al dramma della sofferenza innocente. 

Ora tutto tace. Sta per arrivare l’ultimo personaggio, Colui che Giobbe ha osato mettere con le spalle al muro, trascinare in un tribunale, mettere alla sbarra. 

L’incontro tanto atteso è arrivato. 

Dio si presenta, sta per prendere la parola; dopo il pubblico ministero e i difensori d’ufficio è arrivato il tempo di Dio. 

“Il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine: Chi è costui che oscura il consiglio con parole insipienti?”

Dio non si pone sullo stesso piano di Giobbe, non si siede sulla soglia di una casa di fango. Parla dentro ad un vento impetuoso. 

Non si tratta di una semplice teofania: va oltre una manifestazione della divinità in forma sensibile, attraverso un fenomeno atmosferico.

Dio non si siede nel consesso umano, ma parla nel cuore dell’uomo, nell’esistenza della sofferenza innocente. 

Dio rispose a Giobbe di mezzo al turbine: non è forse una tempesta il cuore di colui che oscura il consiglio con parole insipienti? 

Non vi è forse un turbine nell’esistenza marchiata dalla sofferenza innocente? 

Non c’è vento impetuoso nel cuore di un malato di cancro, in un’esistenza segnata dalla solitudine?

Non è pioggia impetuosa il pianto di un orfano, di una mamma che ha perso il suo bambino, di un uomo o una donna che hanno perso un amore che rallegrava e rendeva giovane i loro giorni? 

Nell’aula del tribunale allestito tra i letamai della sofferenza umana ecco Dio come ultima voce.

Sottolinea David Maria Turoldo: “E come sarà stata la voce di Dio? 

Una voce che parlava dentro , attraverso l’impotenza dell’uomo; sorge dall’angoscia di una luce, che non bastava a schiarire l’orizzonte carico di tenebre. 

Una voce che parlava da tutta la natura; voce di procella; voce di tempi antichi, di cieli vastissimi, una voce d’elementi, che sfidava qual prode, il piccolo uomo.” 

Certo, perché questo turbine diventi brezza mattutina, voce che parla dal profondo di un cuore piagato, i perché e i lamenti devono cedere il passo al silenzio, affinché la presenza interiore di Dio diventi sillaba, Parola arcana, discorso comprensibile anche per gli ultimi, per coloro che abitano nelle case di fango. Tutto tace nel letamaio di Giobbe: è arrivata la voce di Dio.